lunedì 22 agosto 2011

Ludovico Corrao, un intellettuale disorganico









Ha una triste onestà il bell’articolo polemico di Francesco Merlo di domenica dal titolo “Ma l’utopia di Gibellina è un disastro spettrale”: quella di confessarne il prius, il litigio personale con Ludovico Corrao.
Triste perché in genere la morte – che è eterna – lava il risentimento personale, le nostre fatuità.
Invece Merlo di fronte a un corpo di un vecchietto di 84 anni appena martoriato dalle coltellate di un assassino che si è scatenato con efferatezza inaudita sente il bisogno di pregare per il carnefice (anche noi lo sentiamo e lo raccogliamo) ma non per la vittima; alla vittima a terra invece sente il bisogno di infliggere un surplus di coltellate.
Passi pure, poco importa, l’opinione tutta negativa sulla ricostruzione di Gibellina, sulle opere d’arte dei maestri del novecento Burri, Consagra, Pomodoro, Venezia, Samonà, Cascella, Mendini, Melotti, Purini etc, che vollero, quasi sempre gratuitamente, lasciare un segno d’amore e di speranza, quello delicato della bellezza, a una popolazione anch’essa assassinata (come Corrao da Saiful Islam) dal terremoto del sessantotto.
Disinvoltamente Merlo considera quelle opere, di cui parla il mondo dell’arte, “cacche d’artista per mosche fameliche”. Boh.
Ognuno ha il suo gusto artistico. De gustibus non disputandum.
Di cattivo gusto senz’altro è invece la diffamazione dell’uomo appena assassinato.
Surrettiziamente si insinua l’infamia (pedofilia?) parlando del pulviscolo sociale di un nuovo sottoproletariato quello dei “badanti sessuali” (!), e dicendo falsamente che Saiful Islam lavorasse per Corrao dall’età di dodici anni (in realtà solo da due anni); si inventa che fosse considerato un “bastone da passeggio” come un trofeo esotico di un dandy; altre “brillanti” amenità dello stesso tenore.
Chi sa le cose conosce la verità: Corrao era ridotto talmente male per gli acciacchi e le malattie da avere sempre bisogno di un badante per deambulare, per lavarsi, vestirsi, svestirsi, mangiare, fare le pulizie, per le medicine e l’assistenza nei continui ricoveri. Era pelle e ossa. Chiedete se non è vero.
Ma quanto più deperiva tanto più diveniva magnetico, raggiava essenza, conquistava.
Che si possa avere un’idea tutta negativa di Corrao, della ricostruzione di Gibellina, delle Orestiadi, del Museo delle trame mediterranee (geniale museo della fratellanza mediterranea) non stupisce.
Molti coprofili si nutrono, devo convenire, delle cacche d’artista; e i coprofili più raffinati se ne nutrono in un modo tutto particolare: attaccandole. Ma le cacche restano pur sempre il primo motore immobile. Molti si sono nutriti, si nutrono e si nutriranno della polemica su Gibellina, e Corrao ne ha sempre vantaggio: è in fondo in un modo o nell’altro un tributo a quello che Sgarbi, forse con troppa enfasi, ha definito “l’ultimo principe del rinascimento”.
Chi sa le cose sono i gibellinesi – chi se non loro? – che hanno voluto Corrao come sindaco e padre rifondatore della loro rinascita per 25 anni; che al funerale hanno accompagnato il feretro in spalla piangendo (la città intera).
Merlo liquida poi la stagione dell’Unione siciliana cristiano sociali che vide in Corrao e Milazzo i protagonisti assoluti di un rivolgimento sociale e federale che portò la Dc all’opposizione in Sicilia, nel suo feudo, come “…l’intrallazzo del milazzismo che giustamente per Sciascia fu un orrore di immoralità. Pensate: il peggio della Dc di allora insieme con il Msi e il Pci. Veri fascisti mussoliniani e veri comunisti stalinisti…”.
Questo giudizio mi pare, perdonate, ingiusto.
Eravamo nel 1958 la Sicilia era nella morsa del feudo, dell’immobilismo, dello strapotere della mafia e del blocco coriaceo della conservazione, per non dire della più retriva reazione. La riforma agraria di Gullo era stata fatta abortire, i monopoli del nord costringevano la Sicilia nella sudditanza e nell’indigenza del sottosviluppo, gli echi delle mitragliatrici della prima strage di Stato, quella di Portella della Ginestra, si erano appena sopiti. Corrao riuscì, nel nome degli interessi più alti della Sicilia e dell’applicazione del suo Statuto autonomistico, a coagulare attorno a sé e a Silvio Milazzo le forze politiche – o meglio gli spezzoni di esse, perché i partiti furono spaccati come da un sisma (ancora un terremoto) – che volevano uscire dall’ascarismo più prono per avviare un’impetuosa stagione di riforme.
Il milazzismo fu una stagione complessa e controversa che durò in tutto meno di due anni e che finì ingloriosamente in un tranello: una brutta corruzione o meglio una ancor più brutta istigazione alla corruzione. Tale fu il Caso Corrao-Santalco. Ma questi due anni determinarono e anticiparono profeticamente molte cose: l’abolizione del dogma dell’unità dei cattolici in un solo partito, l’autonomismo e il federalismo al centro della politica, il superamento degli steccati ideologici tra i partiti. La Confindustria siciliana guidata da La Cavera strappò con quella nazionale, nacque il sogno dello sviluppo industriale. Venne in Sicilia Mattei ed elaborò il progetto del metanodotto che doveva collegare l’Algeria alla Sicilia…
Corrao volò a Mosca ricevuto con gli onori di un capo di stato da Krusciov: fu il preambolo dell’incontro tra il leader sovietico e Papa Giovanni XXIII, un passo rilevante nel disgelo della guerra fredda e nella destalinizzazione.
Furono meno di due anni che però generarono e continuano a generare innumerevoli tomi di storiografia.
Sì, per Sciascia quell’operazione fu sbagliata, ma non fu “un orrore di immoralità”. Se l’avesse giudicato un orrore di immoralità non sarebbe di certo stato a Gibellina accanto a Corrao che gli conferì la cittadinanza onoraria. In quell’occasione Sciascia fece un discorso memorabile e paragonò Ludovico Corrao all’erba che cresce nelle crepe del cretto di Gibellina. Disse che quell’erba non era “erbaccia” ma il simbolo commovente della vita che risorge sempre e comunque. Disse di continuare per quella strada.
Corrao fu un “intellettuale disorganico”, un cristiano inviso alla Dc e alla chiesa che scomunicò ufficialmente i Cristiano-sociali e un indipendente di sinistra che non prese mai la tessera di partito. Ma accanto a lui ci furono Carlo Levi, Danilo Dolci, Ignazio Buttitta, tanti altri.
Quanto poi a definire Macaluso e compagni “veri comunisti stalinisti”, beh, anche i bambini sanno che Macaluso, insieme con il Presidente Napolitano, rappresentò nel Pci l’ala più antistalinista, quella liberale, anti ideologica e riformista. E non a caso il presidente Napolitano onorò Ludovico Corrao recentissimamente di una visita allo stesso tempo ufficiale e di affettuosa amicizia, riconoscendone la grandezza.
Ho avuto l’onore di essere amico di Ludovico Corrao e di raccoglierne il percorso umano, politico ed artistico in un libro che rimane come un testamento. Il libro edito da Ernesto Di Lorenzo ha un titolo-manifesto: Il sogno mediterraneo. Nella copertina campeggia un dipinto di Schifano, un pezzo unico che fece esclusivamente per lui.
E’ uscito un anno fa. Chi vuole saperne di più può leggerlo.
Merlo, un giornalista che rispetto e che ammiro, sostiene che a Gibellina l’arte ha finito con l’esaltare la marginalità della popolazione. Ma la funzione dell’arte non è proprio quella di farci sentire marginali di fronte al sublime? La stessa funzione ha in qualche modo la furia del terremoto che ci fa sentire marginali rispetto alla forza, al mistero dell’infinito. E non a caso all’ingresso di Gibellina si legge: Comune edificato in una pausa sismica.
A differenza delle proprie cacche, le cacche d’artista non bisogna sottovalutarle. In genere fanno molta strada. Manzoni le imbottigliò e finirono nei musei; un “orinatoio” di Duchamp divenne ancora più celebre.
Qualcuno nel sessantotto voleva che i gibellinesi si dissolvessero in una diaspora di emigrazioni nel mondo. Ludovico Corrao invece ha lottato per dare loro e a tutti i siciliani non solo le case ma anche la bellezza.


Baldo Carollo

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