giovedì 16 ottobre 2008

poesie






Carollo Baldassare

Poesie
immagine di Baldo Carollo





1

Mi aggiro in una Alcamo non mia
volo all’interno di monti trapasso i muri
si deformano i quartieri
constato in piazza Ciullo un vecchio porto di mare mai esistito
e periferie le mie mani hanno preso fuoco
processioni di tristi bambini oranti in cimiteri
il sole rosso nella notte (ingialliti tasti d’organi cattedrali di meriggi ceri accesi)
come un falò scoppiato in mille sillabe
di fuoco attorno ci volano ubriachi
corvi reali alcuni muoiono bruciati
scorrono fiumi dentro di me
migrano uccelli dentro di me
solitudine di cortili mai visti

la stanza ammonticchia aliti
concili di invisibili presenze

fiori blu e rossi mi sono spuntati
negli occhi e nelle mie rughe
cresce un enorme narciso
ma le mani sono ancora accese
di fuochi fatui piene d’amore a tentoni

la stanza è inondata di interstizi

le cose si fanno allucinazioni

esploro contrade sconosciute
di lontane preesistenze
in un convento sconsacrato - dentro di me
infinità di anditi
passaggi
androni
sale di ex voto
vestiti da sposa impolverati
salme appese

nenie aggrumate a respiri

scale finestrine strapiombi

pietre di muri pensano

santi mi fissano muti

silenzi dentro gocce

carillon demoniaci
fatti da maari

seduti a terra
ai piedi dei muri
vecchi laceri
recitano sutra
sussurrano
e a ondate
gridano
mantra di risate
implorano
bestemmiano

salmodiano canzoni d’amore e filastrocche

ricordo così una precedente esistenza
fui un cammello e alla fine troppo vecchio
mi abbandonarono nel deserto
allora a passi lenti
con la bocca che digrignava sabbia
seguii svogliato
la pista
verso l’ultima
lontana
oasi
dove nacqui

tamburi le mie quattro zampe
i miei respiri furono sciamani

buio
svampito
stramazza

sabbia di clessidra
tramutò
nostalgia









2


Il mare ha inondato piazza Bagolino
dentro il Bar Tiffany andirivieni dell’onda
siedono bevono è inverno sono immerso fra detriti
non sento freddo una piccola folla
attende l’annottare un pipistrello svolazza felici
come in un giorno di festa della Madonna
o di terremoto allegria di sfollati
vedo i volti di ognuno ma non li riconosco
familiari deformi nostalgia di mostri
abbraccio esodi di riflessi pende un lampadario
nell’ultima navigazione
il tempo muta in pietra
naufrago
sopra una zattera d’ombre
tenute
da
funi
di
parole
senza
senso
e
senza
memoria
ho
occhi
di
medusa




3



Il tagliacarte d’acciaio sul vetro del tavolo
nella sua forma impassibile
trascorre nel nulla di milioni
di anni si sgretola saggio
inerte passivo nelle configurazioni
atomiche impermanenti la storia
non lo tocca la casa non gli appartiene
né esso appartiene a nulla non sente
il chiacchiericcio degli umani nelle
stanze nulla nuoce all’estenuazione
della scomparsa sopra una tale congiura
del silenzio vola alla velocità della luce
con le galassie che si allontanano da tutto
e voliamo forse insieme ma non so dove
trascinati dalla corrente povero perno
di cosmo sibila un attimo di tremore
nel buio dell’universo non rimanendo
altro che una triste inutile eroica risata
in faccia a Dio e non lo toccano le morti
il tagliacarte d’acciaio posato sul tavolo
di vetro al passare del tempo come un detrito
appassisce
e
ride

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