venerdì 17 ottobre 2008

ERAM MARE



Romanzo

ERAM MARE

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Immagine di B. Carollo

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Introduzione

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30 agosto 1998 domenica Alcamo via Archimede 14


Cammino in un corridoio di una casa infinita, a destra e a sinistra quadri di antenati, baffi barbe basettoni, qualche cardinale, mi accorgo che il corridoio è lungo a perdita d’occhio, semibuio solido, una luce tisica filtra obliqua da fenditure laterali, in alto vedo un’altra fila di quadri poi un’altra ancora e sempre altre nella penombra, non si vede il tetto e forse tutte le stanze sono esposizioni di volti, busti gesti espressioni di oblii, indugio in ipnosi davanti a un enorme dipinto che raffigura un uomo seduto in un letto intento a infilarsi un calzino, mi fissa e i suoi occhi sono vivi, dal fondo del corridoio una grassona nuda avanza verso di me, rimbombano sul pavimento le piante dei suoi piedi, mentre si avvicina noto che ha un corpo di pachiderma con pieghe e masse di carne che penzola, riesco stranamente a vederla nel contempo di davanti e dietro, ha un culo abnorme oscenamente enfatizzato da un volgare tanga rosso ma un viso divino di bimba con un’aura di luce dorata, un sussurro mi svela che è la Madonna, scarafaggi neri con corazze lucide entrano in una crepa della parete, davanti a uno specchio mia madre adolescente si pettina i lunghi capelli, luce radiosa nella grande stanza senza niente, nessun mobile, niente, solo lei che si pettina i capelli allo specchio e i muri irregolari di calce bianca delle pareti scrostate, in un’alcova interna della finestra colombe battono le ali e tubano, nella cattedrale luce discendente da vetrate rossoblu, santi, un prete dice messa, il resto della chiesa è penombra, da un organo note lontane, anche l’omelia è atona, le parole si distinguono con difficoltà, vanno e vengono, nelle prime file solo poche vecchie grinzose inginocchiate sussurrano preghiere, buio tutto intorno con chiazze di luce giallastre da ceri lumini e candele di cappelle delle navate laterali, lunghi colonnati, nelle volte affreschi di trionfi di Madonne con tripudi di angeli e allegorie, odore d’incenso misto a acqua benedetta gelsomino e muffa, dal fondo buio un gregge invade la chiesa, anche il suono dei campanacci al collo è attutito fino a svanire, solamente in un silenzio fondo si sentono zoccoli cartilaginosi che calpestano il marmo, è la basilica di Alcamo, vedo un millepiedi su una colonna di marmo rosso dove è fossilizzata una gigante lumaca, ammonite, la basilica è ora un rudere diroccato in aperta campagna, se si scava intorno si potrebbero scoprire le rovine di una vecchia città, Alcamo, ancora capre e il loro viso semita in mezzo a resti della cupola e ritagli di affreschi ammuffiti, il sole in alto avvampa, gli ulivi di una stampa di Van Gogh – al primo piano di casa mia mentre sono seduto alla scrivania con la lampada accesa – cominciano a stormire sotto il soffio di un vento interno al quadro, vedo brillare una tendina in controluce dall’interno buio di una stanza, suono della tendina di strisce verticali di plastica trasparente agitate da un lieve vento, fuori una luce accecante appiattisce le cose, pescheria di Alcamo, tavolini di ferro lucido di un bar, luce insostenibile, vecchi vestiti di nero, alcuni con una fascia nera al braccio giocano a scopa, per la troppa luce quasi non vedo niente, ogni cosa è senza dimensione, fluida e continua, i rumori sono amplificati come in fondali sottomarini, mio padre morto da tre anni passa chiacchierando con altri due, mi guarda, sento solo la sua voce in un irreale silenzio, passa avanti senza riconoscermi, dopo un po’ un corteo funebre segue una carrozza trainata da quattro cavalli neri bardati, anch’essa è nera con pareti di cristallo e putti, arriva dal Corso, sta passando, si sentono solo le ruote e i cigolii delle molle, dentro la carrozza mi guarda una bimba triste e stupenda con ali bianche slanciate, stessa scena ma con dentro la carrozza milioni di topi che annusano per uscire, dentro la carrozza uno storpio – ha addome gambe e zoccoli di capro – sodomizza un angelo, domenica di sole, piazza Ciullo deserta, rondini volano basse controsole in cerchi, globi di luce abbagliante, una campana squilla a lunghi intervalli, vedo la piazza in un istante dall’alto e dal basso, nella piazza deserta una bimba vestita da prima comunione gioca al Torno, tira una pietra e saltellando recita una filastrocca, in un cesso del cinema Ideale, angusto sgabuzzino senza mattonelle, una lampada gialla pende da un filo piena di polvere ed escrementi di mosche mentre il vecchio gobbo Casarelli fa una fellatio a un ragazzino di 12 anni abbordato nel buio della sala, il prof. di letteratura Panella con occhialini a cerchi dorati e barba sessantottesca parla di arte e realtà ultima in modo contorto con un altro in giacca e cravatta lungo il marciapiede del Corso Sei aprile, improvvisamente proprio davanti a loro un muratore precipita sull’asfalto da un’impalcatura del quarto piano, un tonfo, morto sul colpo, Panella e l’altro continuano indifferenti a discutere gettando solo uno sguardo distratto sul cadavere e senza interrompersi passano oltre, da una finestra vedo il mare e una rete di pescatori con brandelli di corpi umani impigliati, seduti a ripararla centinaia di preti in tunica nera si perdono nella prospettiva, fra le teste impigliate riconosco alcuni familiari, volti di amici scordati, di conoscenti del servizio militare e di passanti intravisti un secondo, lontano sulle onde del mare nella notte galleggia una cattedrale è la basilica di Alcamo illuminata, file di ceri accesi ondulanti sull’acqua, mentre la basilica si allontana trascinata lentamente dalla corrente un prete calvo con collo taurino e cranio bitorzoluto percorre la navata centrale e prega in ginocchio sotto l’alto crocifisso, è molto contrito, piange e nel contempo si vede che dai bottoni della tonaca gli esce fuori un grosso pene con le vene in evidenza e il glande pulsante che quasi gli arriva sotto il collo, in un cimitero comunale tra tombe croci e monumenti marmorei un party con gente ingioiellata e in abiti da sera, alla luce rossa di lumini riverberanti sulle lapidi si parla amabilmente, si fanno presentazioni, il cimitero è pieno, pure i colombari sotterranei sono pieni, a più file le foto dei defunti, anch’io mi aggiro fra loro cercando un conoscente, nel frattempo scorro in rassegna i loculi e mi accorgo che molti visi sono proprio quelli del party, fra tanti volti scopro il mio su una lapide a muro, non ho una reazione particolare solo un leggero stupore, nel Corso Sei aprile una domenica passeggiano gli alcamesi tutti nudi, poi un esodo di popolo che sfolla nudo in tutte le strade, in un letto un uomo e una donna scopano, si dicono frasi oscene mentre sono stravolti dall’eccitazione e sudati, l’uomo eiacula sul viso di lei urlando Porcaaa, infinita per le strade di Alcamo si snoda la Processione alla Madonna, una processione che stavolta durerà in eterno, alla quale partecipano tutti gli alcamesi di tutti i tempi, vivi e defunti, fantasmi diafani e zombi mezzo decomposti in mezzo agli altri impassibili, nella chiesetta di San Paolo davanti all’altare un prete celebra un matrimonio tra una novantenne e un bimbo, lei è vestita da sposa con un lungo velo bianco, ha branchie al collo e una mano palmata azzurra e squamosa, Tommaso Buscetti, pentito di mafia, con riscontri inconfutabili confessa di essere stato testimone di un incontro con bacio tra Papa Giovanni Paolo II e Totò Reina, il Papa inginocchiato gli baciava l’anello, durante il giubileo il Papa affacciato alla finestra annuncia la canonizzazione del padrino capo della cupola Bernardo Provenzani, la folla acclama l’annuncio, Bruno Vespi cerimonioso gli dedica la trasmissione PortoaPorto facendogli firmare con il rito della punciuta un contratto con gli italiani, una mattina dal cielo scendono gli angeli, se ne incontrano nelle vie del centro antico, sono alti, muti e hanno ali enormi, tornando da un viaggio scopro che il paese è completamente vuoto e deserto, le porte delle case sono aperte, entro e esploro, tutto è rimasto intatto e muto al suo posto, solo c’è di strano che alcuni muri di vecchie case di pietre a secco o di calce bianca hanno sviluppato uno o più occhi vivi, a volte Alcamo è totalmente sommersa dal mare, nuoto in apnea per le strade e per le scale delle case, dal cielo un giorno cadono pezzi di corpi umani, toraci, teste, mani, braccia, due uomini sono su un ascensore, non parlano, uno guarda a terra l’altro legge le scritte vicino allo specchio, l’ascensore non si fermerà a nessun piano, questa è la loro condanna eterna, ad Alcamo le strade sono deserte, un vecchio alcamese rugoso con coppola e sigaretta Alfa senza filtro in bocca arriva in piazza Ciullo, suoni sommessi di organi, seduto in una panchina Cristo, il vecchio si ferma a tre metri di distanza, lo punta con una lupara e spara ammazzandolo, si avvicina al corpo e sputandogli urla nel silenzio pieno di echi Curnutu, Pezzu ri mmerda, Si nenti mmiscatu cu nuddu, negli alti cornicioni delle antiche case neonati e vecchi putridi si muovono in equilibrio precario, non so dove sono, c’è il buio totale, una risata sonora mi sommerge, in una sala riccamente arredata di un palazzo due uomini seduti in poltrone davanti a un camino stanno conversando, ad un certo punto il padrone di casa si alza e, facendo cenno di aspettare un minuto, entra in uno stanzino attiguo dove un altro uomo seduto sta piangendo di dolore, le sue lacrime sono incanalate in appositi tubicini trasparenti fino a un recipiente di vetro a forma di alambicco, con flemma riempie due bicchieri, torna nell’altra stanza, offre da bere all’ospite e continua la conversazione, invece che in un altro stanzino l’uomo che piange è in un angolo della stessa stanza e l’operazione dei bicchieri viene svolta davanti agli occhi egualmente indifferenti dell’ospite, vecchie vestite di nero col fazzoletto nero in testa sedute in cerchio davanti a un braciere recitano il rosario, vecchie nude con solo un orologio al polso recitano il rosario, nelle strade delle maggiori città europee una nuova pubblicità, in enormi cartelloni in mezzo al traffico un bimbo nero denutrito, pelle e ossa, grandi occhi incavati pieni di mosche e zanzare ai margini, un orologio Solex d’oro luccicante al polso, la scritta del cartellone dice IL TEMPO E’ PREZIOSO, un vecchio maestro di scuola elementare davanti alla classe punisce un bambino a vergate, la classe ride, allora lo strozza, lega il cadaverino alla lavagna e viene acclamato dalla scolaresca felice, premiato da una delegazione di onorevoli con una medaglia al petto, la banda musicale suona a tutto spiano, presente anche delegazione di ex combattenti e grandi invalidi della Patria, uffici postali, il tempo è fermo, anche gli orologi si bloccano, luce bianca dalle finestre, negli occhi delle persone ordinatamente in fila una rassegnazione bovina, al di là dello sportello un vecchio nudo ingobbito e rugoso con una sigaretta un orologio al polso e le ali è l’impiegato postale, in una grande stanza quadrata molte persone sedute aspettano, hanno sguardi spenti, metafisici, c’è una luce piatta, nessuno parla, fisso i primi piani di visi inespressivi, poi mi accorgo che in fondo c’è una porta aperta con un’altra stanza identica pure piena di persone e oltre quella un’altra ancora, le stanze si vedono in prospettiva, davanti all’ingresso dell’ultima stanza chiusa c’è un vecchio usciere con grossi vetri da miope che chiama le persone ad uno ad uno per nome e cognome, esitanti entrano dentro, l’ultima stanza è vuota senza finestre ma con una luce propria e un neonato che cerca di muovere i primi passi, dentro l’ultima stanza c’è un vecchio catarroso nudo che sghignazza a più non posso, il pene gli ciondola lungo e flaccido, dentro c’è un cadavere in un letto, si vedono le suole nuove delle scarpe e un vecchio in piedi conta ad alta voce lentamente Uno due tre quattro… senza mai fermarsi, dentro l’ultima stanza c’è una vecchia puttana lasciva che aspetta i clienti, dentro c’è una Madonna adolescente bellissima che si guarda a uno specchio, ci sono centinaia di colombe che tubano e volano sbattendo forte le ali, gli ansimi e i loro suoni gutturali sono un linguaggio criptico esoterico che viene decifrato da uno stenografo seduto in un tavolino con gli avambracci della giacca avvolti in una seta nera come i vecchi giornalisti, dentro è pieno di avvoltoi, ognuno che entra viene sbranato dal loro becco adunco, dentro c’è il ciglio di un dirupo, ognuno che arriva senza mutare passo ed espressione precipita nell’abisso, dentro c’è un vecchio alto magro baffetti grigi, borse sotto gli occhi acquosi, con un gessato, azzimato, dall’aria burocratica e dietro di lui un enorme bufalo, l’uomo con un cenno ieratico dell’indice ti incoraggia ad avvicinarti come per rivelarti un segreto, quando gli sei vicino lascia partire un peto osceno che investe e abbatte a terra il montone, e comincia a torcersi dalle risate senza potersi fermare, anche l’usciere che sbirciava dall’uscio socchiuso sghignazza sdentato, poi si rifà serio e solenne e – lisciandosi con mani ossute il vecchio bisunto vestito nero – riprende a chiamare l’appello, noto che nel vecchio vestito all’altezza delle scapole ci sono due lacerazioni da dove escono due piccole ali di gallina, due dodicenni, durante l’estate che rendeva deserta Alcamo, passeggiano nel pomeriggio in cerca di qualcosa da fare, sono nel quartiere del castello, si alzano da un gradino e parlando si incamminano, scendono dalla via Barone San Giuseppe, si accorgono di una casa fatiscente sopravvissuta ai secoli con un portone eroso, il muro scrostato, c’è un cartello polveroso con la scritta SiVende, il paese sembra un esiziale villaggio abbandonato, non passano automobili né persone, non vista una vecchietta storpia e ricurva sul suo bastone viene inghiottita da una viuzza lontana, stessa scena ma la vecchia viene inghiottita da un muro lontano, calamitata mangiata dal muro malvagio, incuriositi decidono di entrare nella casa per vedere se c’è il fantasma del turco, spingono la porta che cigola e si apre ruotando su un solo cardine, l’altro è attaccato al portone e non più al telaio roso dai tarli, entrano chiudendosi la porta alle spalle, silenzio penombra solo due raggi di sole fendono il buio evidenziando un pulviscolo fino al terzo gradino, odore di muffa e piscio nelle scale piene di detriti e di cacca di colombe, salgono piano, ovunque ragnatele, uno scarafaggio nero si nasconde in una fessura di uno scalino, ai muri crescono dei funghi putrescenti, dopo una rampa entrano nell’unica stanza e vedono una donna con un velo bianco e un pallore anemico che suona un polveroso pianoforte a coda e canta ritornelli slavi, vedono un gruppo di vecchi seduti a terra tra i detriti che recitano antiche scritture in aramaico, vedono un triste angelo con grandi ali di piume bianche che dietro il vetro impolverato della finestra sconnessa guarda il cielo e conta Uno due tre quattro cinque… senza muoversi né fermarsi, mentre un vecchio salmodia queste parole
Mi aggiro stregone in una Alcamo non mia
si allungano i quartieri un vecchio porto di mare
e periferie le mie mani tristi hanno preso fuoco
processioni di bambini oranti in cimiteri
il sole rosso nella notte (ingialliti tasti d’organi cattedrali di meriggi)
come un falò scoppiato in mille sillabe
di fuoco attorno ci volano ubriachi
corvi reali alcuni muoiono bruciati
scorrono fiumi dentro di me
migrano uccelli dentro di me
solitudine di cortili mai visti dentro di me

fiori blu e rossi mi sono spuntati
negli occhi e nelle mie rughe
cresce un enorme narciso
ma le mani sono ancora accese
di fuoco triste piene d’amore a tentoni
in questa stanza inondata di interstizi

mi perdo in contrade sconosciute
di lontane preesistenze
nell’infinità
di un convento sconsacrato
dentro di me

cammello troppo vecchio
abbandonato nel deserto
seguo
a passi lenti
con la bocca che mastica sabbia
la pista
che mi porterà
all’ultima
(lontano)
oasi


Il Simurgh nel cielo è uno specchio
che mi riflette in tutti i tempi in tutte
le direzioni nello stesso istante
inutile e vuoto sono uno e tutti
nenie fantasmi carovane di zingari
pensieri di neonati e di trapassati



A un certo punto gli umani cominciano a mostrare strani comportamenti, si spogliano nudi nelle strade, uno si suicida durante una banale conversazione su una partita di calcio gettandosi improvvisamente da un balcone del decimo piano, sento per qualche secondo che mentre precipita continua tranquillo il suo discorso, due di loro, Scatton e Ferrer, uccidono una studentessa senza nessun motivo, i telegiornali, stanchi dei suicidi con il tubo nello scappamento del gas dell’auto, dei sassi tirati dai ponti sulle auto in corsa, delle madri che sgozzano i figli, danno la notizia di uomini che squartano cani a morsi, Silvio Berlusconi costretto ad espatriare cambia cittadinanza ma viene eletto Presidente degli USA, infine un papiro egiziano svela che migliaia di anni fa il genere umano adottò la rivoluzione surrealista e la vita attuale sarebbe il frutto di un’evoluzione millenaria di quella scelta, anche la lattina di Cocacola su questo tavolo è surreale, tutto è surreale solo Dio è reale, tutto l’universo è noumeno, un atomo del mio corpo è un atomo del corpo dell’universo che è un atomo del corpo di Dio che non ha né corpo né non corpo, come un atomo del mio corpo non conosce il mio corpo io non posso conoscere Dio o me stesso, non esiste nessuna distinzione tra soggetto e oggetto, fra me e gli altri, tra uno e tutto, tra essere e non essere, tra esterno e interno, la dimostrazione di Dio è la mia erezione, buio della luce, luce del buio, una grande risata ci insegue, Bunuel in sogno mi disse Aggiungi riprese dei quattro elementi empedoclei
Riprese del fuoco
Riprese dell’aria (cieli di albe, tramonti … )
Riprese della terra (porzioni di spazi terrestri casuali, oggetti inquadrati in primo piano insistentemente…)
Riprese dell’acqua (fiumi, mare, pioggia, pozzanghere, acqua che scorre nelle cunette, nel buco del lavandino, nei vetri di grandi vetrate…)
Riprese di umani
Riprese di cose in movimento
Riprese di cose precarie e transeunti (peli, stracci in strada, pezzi di cartacce, filamenti, polvere, un dialogo qualsiasi di un giorno qualsiasi tra due persone casuali…)
Riprese di vecchie foto e di clessidre
Tutto passa e non resta, tutto resta e non passa
Immagini di animali, di orologi, di specchi, di ombre, di vetrine e riflessi, di respiri, di nudi, ripetizioni salmodiate di numeri (recita di numeri), ripetizioni di princìpi (esempio recite del principio di non contraddizione, di identità…)
Il silenzio di Dio ci inghiotte. Noi inghiottiamo Dio col suo silenzio. E scaracchiamo a terra

1

7 luglio 2000 Scopello faraglioni ore 9.40

Due bimbi alla mia sinistra, ombra della mano su questo inchiostro, i pori i peli della, solchi alle giunture, cuore che batte, pelle tesa, il mare ha voci ronzanti, sudato ciiv ciip un passero vociare di bagnanti, sposto gli occhi nelle orbite, il Mediterraneo enorme acqua sinuosa fianchi di femmina, una donna costume bianco giovane forte corpo, energia placida di cella di convento, le mie spalle abbracciate dal caldo, il mento pizzo peli sul braccio sinistro, caldo un serpente sono steso sul ciglio del mare su un muretto di percezioni, alla mia sinistra la tonnara dei pescatori di Scopello, persiane verdi aperte, porte socchiuse a vanidduzzu, tende di seta veli annoiati, il passero ora in una fessura sotto il cornicione punto tremulo nel buio, canoa gialla, il sole mi cuoce nel suo forno, passare oltre la porta della realtà, non riesco a scrivere, lasciare i pensieri liberi disordinati fatto il bagno nuotato fino al veliero scoglio forma dello, sale in bocca, acqua narici, una coppia lui cappellino caffelatte con visiera, lei bionda con treccinemaglietta canticchia Lucio Battisti, voce strascicata In un mondo che prigioniero è…, gialli fiori dell’albero di mimosa caduti su questi gradini, giallo della luce morente in un lamento di felicità che si allontana, Van Gogh sanguina giallo, labirinto di crepe in questo muro, scalini seduto io sugli, formiche avanzano come soldati in rassegna in un campo di battaglia dopo il combattimento, si muovono in una fissità atemporale, le teste rosse, un ciuffo d’erba esce a stella dal muro nell’ombra con steli violacei e ondeggia al vento, una crepa sembra un albero genealogico, i capillari polmonari, ramificazioni esoteriche svelate da un aruspice, rabdomanti in tuniche mistiche con ricami d’oro e d’argento convocati a sinodo per dirimere i segni del destino nella crepa, re assiso al trono trasportato a braccia fin qui aspetta responso, si sacrifica una vergine in bianca veste di seta trasparente, energumeni la legano a un palo, danze a ritmo di sistri egizi e tamburi, epilettici vengono fatti cadere in trance schiuma bavosa alla bocca raccolta in vassoi d’oro con effigi di gesta d’Ulisse e interpretata lungamente da sacerdoti con lunghe barbe la vergine affidata al mare per placarne l’ira allontanata in zattera nuda in mare aperto pesce verrà la sverginerà e la divorerà per tregua non definitiva abbisognando sempre altre vergini mensili simultaneamente falange di adolescenti sul bagnasciuga nel rito collettivo esorcistico e propiziatorio si sparano seghe sborrate all’unisono, antichi rattoppi di calce, pace di ombre assorte, alti gabbiani sugli scogli sorvegliano il mare, gridano, il suono si perde nel fermento delle onde, del tempo, della memoria, delle immagini, del blu, della luce accecante del meriggio, degli orologi per sempre fermi, chiudo le palpebre per cercare di vedere qualcosa attraverso le ciglia, luminosità tenebrosa, questo albero è vicino a un’ancora erosa, ossidata scultura di Giacometti, l’albero ha la saggezza, sua apparente fissità, radici per una minima linfa, tronco immobile rami sottili foglie ancora verdi, luce vento brezza marina, contatto consapevole con l’energia secolare del marfaraggio, entro nella terra sotto la base oscura del tronco, aridità, respiro, fermo, sono io l’albero, mi giro, sonnolento cortile, ancora seduto sui gradini di marmo sbilenchi avvallati lisci fra ciuffi d’erba foglie secche, formiche, le spalle appoggiate al muro, gli occhi all’altezza del piano del cortile, ciottoli, gramigna che nella sommità si apre come una mano di filamenti biondi, estate, una parte del cortile è illuminata dal sole, in fondo ci sono gerani affondati nella calura ubriaca, l’altra è adagiata nel refrigerio dell’ombra, silenzio assorto, un filo di ferro fissato tra due muri, semplice presenza stupefatta, una grata chiude un altro cortiletto sovrastato da un albero obliquo possente che dorme con i suoi rami secchi, qualche superstite ciuffo verde, più in alto ancora un’enorme pendenza di sommità rocciose, palmenane fichidindia stoppie riarse nel calcinante momento che non passa, risacca del mare, a fianco della grata ossidata un’altra crepa nel muro si staglia come un fulmine pietrificato, un rabbercio con bianca calce, ci sono tutti i segni del tempo in questa smemorata inconsistenza, api bevono alla bocca di un rubinetto a muro che sgocciola, un fico proietta la sua ombra a terra, il mare si rafforza, rumina i pensieri del mio es, i fichi non sono maturi polpa bianca a puntini rossi dolce, in campagna da mio nonno trenta anni fa, ricordo riaffiorato dai fondali dell’oblio, salii su un albero, frutto colto, assaporato, gesto della mano che prende, foglia ruvida che mi accarezza il dorso della, felice solitudine, strana naturalezza di ricordi dissepolti, e da bambino avevo a volte déjà vu anche premonitori, sicuro che quella cosa l’avrei in avvenire ricordata, c’era un’aura intorno, vedevo un portone, la rugosità vissuta di una superficie e restavo incantato, un viso di un passante che si allontanava nella strada un colpo di battente a un portone avevano risonanze ancestrali, proiezioni teologiche, saldature agostiniane di passatofuturo, avevo la fissazione per il tempo che passa, presentimento d’eternità perdute e ritrovate, presenza della morte, entrare nella porta dell’attimo, nell’essere, flusso di energia di un uno infinito, sognare un’aquila o essere sognato da un’aquila, annegare nell’assurdo, e il naufragar m’è dolce in questo mare, una farfalla bianca si posa sull’erba, bruco metamorfosi del, cerco la mia metamorfosi fissando la parvenza della realtà, l’uno oltre il pluralismo e l’apparente dualità, una lucertola sale sul muro si ferma in una posizione d’attesa attenzione e vista, lampada spenta tre metri sopra il mio corpo seduto, lampione antico di campagna sporco di polvere e cacchine di mosche piatto concavo di lamiera smaltato bianco con bordino esterno nero, anche negli angoli delle stradine notturne delle budella di Alcamo ancora sopravvivono

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